Il disagio è NELLA civiltà o DELLA civiltà?

Posted on 11 Ottobre 2013

Parlare di disagio e civiltà nel grave periodo di crisi economica che ci sta attraversando può sembrare banale; in realtà, partendo evidentemente da  questa presa d’ atto della difficile situazione che sta invadendo ognuno di noi nel suo vivere quotidiano, lo scopo di questo articolo è quello di interrogarsi su cosa rappresenti in disagio per il singolo.

Possiamo parlare di infelicità riguardo all’ uomo anche riferendoci evidentemente a tempi antecedenti alla attuale crisi economica: basta dare uno sguardo indietro alla storia dell’umanità per rendersi conto che l’uomo non è infelice soltanto da quando si parla di crisi economica!

E’ dunque lecito porsi anche in questo nostro tempo una domanda di questo tipo:

da dove viene l’infelicità dell’essere umano?

Se possiamo porci domande, interrogativi di questo tipo è evidente che nonostante tutto (progresso, benessere, salute) l’essere umano è mancante di qualcosa nella sua esistenza.

Indubbiamente,la difficile situazione che il nostro paese, come purtroppo molti altri, sta vivendo aggrava alcuni aspetti del disagio interiore di ogni singola persona, ma vorrei di nuovo sottolineare che l’infelicità umana non nasce oggi, sotto questo tempo di difficoltà.

“Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”

 (14° Dalai Lama, Tenzin Gyatso, leader politico e religioso del popolo tibetano. Nobel per la pace per il 1989)

Le parole del Dalai Lama si concentrano soltanto su alcune sfumature, alcuni aspetti della vita dell’uomo, si parla di salute, di denaro ed in qualche misura  troviamo in quelle parole una sorta di giudizio sul rapporto che l’uomo ha proprio con la salute ed il denaro e questo riguarda certamente una parte dell’essere un essere umano ma appunto soltanto una parte.

Eppure in queste stessa parole troviamo un accenno alla impossibilità a vivere il presente della vita. Si tratta di un solo accenno, ma lo utilizzo per precisare che parlare di disagio dell’essere umano per me vuol dire provare ad estendere la visione a tutte le possibili sfaccettature con cui il disagio può presentarsi nella singolarità di ognuno, e dunque alla possibilità di saperci fare con quanto ci capita.

Sigmund Freud, nel testo “Il disagio della civiltà” scrive:

“La vita, così come ci è imposta, è troppo dura per noi; ci reca troppi dolori, disinganni, compiti impossibili da risolvere. Per sopportarla abbiamo assolutamente bisogno di qualche palliativo.”

Ecco dove sta la sfida a cui è sottoposto l’uomo: saperci fare con le cose che gli accadono, trovare un modo tutto suo per poter sopportare la durezza della vita, è in questo caso che il disagio può venire a visitarci come esseri umani, quando non riusciamo più di tanto a fronteggiare le cose della vita.

Facciamo attenzione però perché molto spesso la parole che usiamo tentano di trarci in qualche modo in inganno.

L’opera di Freud da cui ho tratto il brano citato è conosciuta come “Il disagio della civiltà”, questo è il titolo scelto per la traduzione italiana dell’opera; a dire il vero però questa scelta di traduzione comporta un problema non di poco conto.

In origine infatti, quando Freud inizia a scrivere questa scritto, la versione in lingua tedesca del titolo da lui scelto era, tradotta alla lettera: l’infelicità nella cultura. E’ Freud stesso che decide poi di sostituire la parola tedesca per infelicità con la corrispondente per disagio, e dunque il titolo originario dell’epoca tradotto alla lettera sarebbe stato: il disagio nella cultura.

 

La scelta di utilizzare la parola civiltà invece che quella più esattamente corrispondente cultura è motivata dagli stessi traduttori:  nella lingua tedesca la parola cultura ha una accezione più ampia che in italiano e privilegia aspetti della formazione e dell’arricchimento intellettuale di un individuo o di una società; e dunque la scelta è ricaduta sul termine italiano civiltà perché ritenuto in grado di fare riferimento in maniera più precisa ai fenomeni a cui Freud si riferisce in questo testo.

Evidentemente se rimaniamo sul piano delle esigenze di adattamento nel passaggio di un testo da una lingua ad un’altra, la situazione è piuttosto chiara.

Tuttavia resta un dubbio, che risiede nella scelta della preposizione: in origine il testo, se avete seguito questo mio breve ragionamento, sarebbe dovuto essere in italiano: il disagio nella civiltà , ma ci è giunto come il disagio della civiltà, perché?

Dove stanno qui le esigenze di traduzione?

Potrebbe sembrare una questione da poco, una leziosità! eppure l’ invito è  a soffermarvi su questa domanda:

che differenza c’è tra parlare di disagio nella civiltà

e disagio della civiltà??

Se il disagio fosse della civiltà, possiamo supporre che questo non ci sarebbe se ci fosse una civiltà diversa o migliore. Tutto ricadrebbe sul tipo di civiltà in cui viviamo.

Invece nell’ intenzione originaria di Freud il disagio non è della civiltà bensì nella civiltà, cioè all’ interno di essa, in ciò che la compone, e dunque nell’ essere umano stesso che come tale lo manifesta.

E’ questo che interessa alla psicanalisi, è questo che ci interessa come esseri umani!

Difatti è di questo che Freud parla nella sua opera: non ci parla dei problemi, disagi della società, ma di come questi ricadono sull’essere umano, scrivendo cose come questa:

“Ci chiederemo quindi,meno ambiziosamente, che cosa attraverso il loro comportamento, gli uomini stessi ci facciano riconoscere come scopo e intenzione della loro vita, che cosa pretendano da essa, che cosa desiderino ottenere in essa. Mancare la risposta è quasi impossibile: tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici.”

 La domanda, che spero possa solleticare le vostre riflessioni, quindi resta aperta: perché spostare l’attenzione dall’ essere umano portatore di disagio alla civiltà in cui vive?