Il sintomo nella psicanalisi

Posted on 3 Giugno 2014

 

La teoria di Freud, il suo nuovo modo di avvicinarsi al disagio e all’essenza dell’essere umano tramite la psicanalisi è una novità: nel porre attenzione all’inconscio, da un nome, se vogliamo uno statuto, a qualcosa che fino ad allora si era trovato in un punto di vuoto, un vuoto di teoria, un vuoto di concetto come scrive nei suoi testi il Dr. L. Zino. Ritengo fondamentale questo passo in avanti compiuto da Freud, poiché non si tratta di una mera dimostrazione scientifica, ma piuttosto di una conseguenza di quella esperienza di vita, di analisi e di disagio che Freud per la prima volta è riuscito a cogliere in modo diverso. La scommessa sta nel suo tentativo di legare sempre e comunque la nascita del sintomo alla capacità di saperci fare con l’esistenza, di trovare un accomodamento più o meno felice con i proprio sintomi.

Il padre della psicanalisi dopotutto non ci parla di sintomo come un qualcosa di necessariamente deviato rispetto alla cosiddetta “normalità”:“[…] non esiste nessuna differenza qualitativa tra le condizioni della salute e quelle della nevrosi” scrive in Modi tipici di ammalarsi nervosamente (1912). Si tratta sempre di trovarsi ad un certo punto, in una certa posizione lungo la linea del continuo rapporto-scambio tra il soggetto e le sue dinamiche interne, con le inevitabili frustrazioni che si ricevono dal mondo esterno.

In psicanalisi troviamo spesso la parola sintomo accostata ad altre parole quali: adattamento, riparo, inconveniente, mezzo, tornaconto, fuga, accomodamento, compromesso. Questi accostamenti di parola fanno intendere bene che il sintomo, per quanto ci riguarda non può essere ricondotto, tramite una impostazione medica, ad un mero accessorio in più da eliminare. Si tratta di un qualcosa che entra nella vita di un essere umano, che la stravolge, che ne penetra i più oscuri angoli fino a divenire un tutt’uno con essa. Come tale evidentemente non si può pensare di poterlo eliminare del tutto, si tratta piuttosto di un riuscire a saperci fare con il fatto che spesso il sintomo è l’unico modo che ha quell’essere umano per esprimersi. L’esistenza stessa, la condizione dell’essere un essere umano a volte si esprime attraverso il sintomo.

Essenzialmente si tratta di questo: una impossibilità dell’essere umano a tollerare ciò che di se stesso non è più di tanto conoscibile, decifrabile, controllabile, tutto quello che può creare problema per l’essere umano viene in un certo modo rigettato,  trasformato tramite il sintomo.

Quando qualcosa dell’accomodamemto con la nostra esistenza non funziona, si trova il modo di trovare comunque un equilibrio in termini di sintomo: ci si trova in uno spaesamento tale da arrivare  pensare che una condizione di compromesso, qualunque essa sia, possa rappresentare un riparo.

“Il disagio del sintomo occupa l’esistenza, la rende densa, corporea, finale. Fa compagnia. E’ un accordo con la disperazione.”

Cosi il Dr. Lorenzo Zino definiva il sintomo in psicanalisi durante uno dei suoi seminari di qualche anno fa, personalmente trovo che definire il sintomo come un accordo con la disperazione, come qualcosa che pervade a tal punto la vita umana da fare compagnia sia profondamente in linea con il senso che da Freud in poi dovrebbe avere l’attenzione al disagio umano, e dunque un bel modo di proseguire su quel cammino di originalità che la psicanalisi ci offre.