La psicanalisi come pensiero meditante

Posted on 10 Dicembre 2013

 “Lei osserverà che durante il Suo racconto Le vengono in mente diversi pensieri, che vorrebbe respingere con determinate obiezioni critiche. […] Non ceda mai a questa critica e nonostante tutto dica, anzi dica proprio perché sente un’avversione a dire.”

Questo brano di S. Freud tratto da Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi (1913-1914)  rappresenta ancora oggi uno dei cardini della psicanalisi: si tratta di quella che viene comunemente chiamata la regola fondamentale, che è anche la sola che abbia senso nella stanza d’analisi. Come spesso mi sono trovata a dire, la psicanalisi rappresenta un sapere differente da tutti gli altri, un modo particolare di porsi all’ascolto dell’altro.

Insieme a M. Heidegger e al suo L’abbandono possiamo provare a capirne qualcosa in più.

In questo testo si definisce, a mio avviso in maniera magistrale la condizione in cui troppo spesso si trova l’essere umano:

“Tutti noi cadiamo troppo facilmente nell’assenza di pensiero. L’assenza di pensiero è un ospite inquietante che si insinua dappertutto nel mondo d’oggi. Infatti al giorno d’oggi, se si vuole conoscere qualcosa, si prende sempre la via più rapida e più economica e, una volta raggiunto lo scopo, nello stesso istante, altrettanto rapidamente, lo si è già dimenticato.”

Heidegger, in questa breve conferenza si spinge ben oltre, fino ad arrivare a parlare di fuga davanti al pensiero definendola come l’evento che “distrugge l’uomo nell’intimo […]” e su cui si fonda appunto il trovarsi nell’assenza del pensiero.

Possiamo allora aggiungere, da una prospettiva più psicanalitica che ciò che caratterizza tale condizione umana, è la conseguenza di un non volerne sapere: l’essere umano ha a che fare con il misconoscimento di tutto quello che proprio la verità richiesta dalla psicanalisi invita a ricercare; appunto per questo molte volte è la psicanalisi stessa, come nuova forma di sapere a divenire scomoda per l’umano.

E dunque quello che caratterizza lo psicanalista è la possibilità di ascolto, un ascolto che per essere autenticamente tale non può essere guidato da tecniche di registrazione dati: il rischio altrimenti è quello di confondersi con quello che  in Heidegger è nominato come pensiero calcolante.

“Questo dispendio di acume intellettuale nel costruire ipotesi, […] ha certamente la sua grande utilità. […] Ciononostante, resta sempre il fatto che si tratta di un pensiero di tipo particolare. […] Un tale pensiero è sempre un calcolare, anche quando non compie operazioni con i numeri, anche quando non fa uso della macchine calcolatrici e dei grandi calcolatori elettronici.”

L’essere umano non è niente di tutto questo, eppure il rischio è proprio quello di cadere in questa trappola: Heidegger lo spiega bene, il pensiero calcolante è necessario ed importante quando si tratta di ricerca scientifica e dunque quando si ha a che fare con ipotesi da verificare.

Tuttavia, mi chiedo insieme a lui: quando si ha a che fare con l’essere umano, come si può pensare di applicare qualcosa di puramente tecnico se ciò con cui si tenta di lavorare, come presuppone la psicanalisi è l’inconscio?

Per lo psicanalista è impossibile fare uso di un pensiero calcolante, ed è per questo che alcuni analisti, come Freud, scelgono quella posizione dietro il divano: essa permette di lasciarsi andare al flusso dei pensieri e quindi di dedicarsi autenticamente all’ascolto dell’altro.

M. Heidegger definisce questa diversa capacità di disporsi all’attenzione verso l’altro, come pensiero meditante.

C’è differenza tra aver sentito o letto qualcosa nel senso di averne preso coscienza, e rendersi effettivamente conto di quanto si è sentito o letto: di mezzo ci sta la capacità di riflessione o, come più propriamente la chiama Heidegger la meditazione, ma non tutti hanno la possibilità di farne uso:

“Questa incapacità a soffermarsi sul pensiero, meditando, è definita inquietante ed allo stesso tempo essa condurrà l’essere umano “in balia dell’inarrestabile strapotere della tecnica, […] se l’uomo di oggi rinuncia a gettare in campo […] il pensiero meditante contro il pensiero puramente calcolante.”

Le poche regole della tecnica analitica aprono all’essere umano proprio la possibilità di lasciar andare i pensieri e le parole senza soffermarsi troppo su ciò che potrebbe apparire insensato, inconciliabile e di seguire quindi contemporaneamente più strade diverse che questo tipo di lavoro su se stessi riesce ad aprire. E’ questo che richiede la regola fondamentale!

Questo tipo di lavoro è definito qui, come abbandono di fronte alle cose e apertura al mistero espressioni che, a parer mio riescono a comprendere in sé gran parte dell’essenza della psicanalisi.

 

L’uomo, se vuole salvaguardare un rapporto autentico alle cose – in termini psicanalitici diremo un rapporto autentico a se stesso – se non vuole impoverire la propria umanità, deve aprirsi al mistero, deve meditare cioè quella dialettica di disvelamento e nascondimento che è all’origine dell’essenza della tecnica.