La violenza di genere

Posted on 22 Novembre 2013

 

Si definisce violenza di genere ogni tipo di maltrattamento a cui sono soggette le donne nell’ambito dei rapporti familiari e interpersonali. Si tratta di violenza di genere ogni volta che una donna viene denigrata, maltrattata, molestata sessualmente, violentata all’interno di relazioni che potremmo definire “normali”, di conoscenza, frequentazione, condivisione di spazi e abitudini.

La violenza di genere è un fenomeno globale, le ricerche compiute negli ultimi 10-12 anni dimostrano che la violenza contro le donne è un fenomeno endemico, esso è diffuso allo stesso modo nei paesi industrializzati come in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali e culturali e a tutti i ceti economici. Inoltre, contrariamente a quanto si possa credere, la violenza di genere avviene prevalentemente, e con esiti più gravi, tra le mura domestiche: i maltrattanti più frequenti sono i familiari, mariti e padri, seguiti poi dagli amici, vicini di casa, conoscenti stretti e colleghi di lavoro o di studio. Sono stati individuati vari tipi di violenza:  quella sessuale, quella fisica, quella economica, quella psicologica e lo stalking.

 

Uno dei problemi più grossi a cui si va incontro lavorando in questo campo, è la difficoltà a riconoscere gli episodi e gli atti di violenza, ciò conduce ad una generale condizione di mancata denuncia da parte delle donne, che troppo spesso si convincono di trovarsi in una situazione di normalità.  Lo stato psicologico di una donna maltrattata è un qualcosa di veramente molto delicato, che ha una estrema necessità di incontrare persone, esseri umani, capaci di accoglierla, ascoltarla e sostenerla. In queste circostanze la donna- vittima entra in una stretta logica di convinzione che quei maltrattamenti, quella situazione di vita, le siano dovute e non vede possibilità alcuna di uscita. Molto spesso si vergogna a parlarne agli altri, solo raramente e con molta fatica tenta di esternare la violenza per timore delle conseguenze molto spesso legate alla paura che l’aggressore possa diventare più violento di prima. Le donne spesso hanno inoltre una scarsa conoscenza dei propri diritti.

La paura di affrontare un lungo processo, e le difficoltà sul  piano psicologico, economico, e relazionale che il percorso di uscita dalla condizione di violenza comportano, spingono troppo spesso le donne a non dare voce al loro disagio. Da questo punto di vista la situazione italiana è piuttosto problematica: moltissime donne hanno subito violenza almeno una volta nella vita e la maggior parte di loro non solo non ha denunciato il fatto, ma non ne ha neanche parlato con gli amici e i familiari più stretti. Il fenomeno risulta quindi molto presente ma ancora sostanzialmente sommerso.

Come dicevo poco sopra una delle ragioni di questa preoccupante realtà sta nel fatto che molte donne non sono in grado di riconoscere la violenza che subiscono. Possiamo provare a capire qualcosa di più di questo concetto se lo mettiamo a confronto con quello di conflitto. Troppo spesso le due parole vengono confuse nel quotidiano ma una attenta riflessione sui loro significati ci dice qualcosa di estremamente importante.  

Intanto è bene precisare che quando si parla di violenza ci si riferisce ad un danno irreversibile: le conseguenze di una violenza subita segnano talmente in profondità la vita di una donna da lasciare cicatrici profonde ed evidenti e non soltanto dal punto di vista fisico. Al contrario ciò che si ascrive al concetto di conflitto è qualcosa che ha sicuramente a che fare con il contrasto, la divergenza, la critica e l’opposizione ma senza una componente dannosa dell’altro. Proprio nella percezione/visione che si ha dell’altro sta forse la differenza maggiore trai due concetti: nella violenza la persona stessa è identificata con il problema oggetto di discussione e dunque nella logica del maltrattante soltanto eliminando la persona stessa è possibile eliminare il problema.

Comunemente siamo portati a pensare che la violenza sia una conseguenza del conflitto, in verità sarebbe più corretto definire la violenza come una incapacità di stare nel conflitto, una incapacità di gestire una relazione in cui l’altro possa avere opinione diversa dalla propria. Il conflitto può invece essere posto proprio alla base di una buona relazione, come momento fondante di essa, dal momento che riesco a percepire l’altro con me nella relazione proprio in quanto altro: questo comporta la possibilità di creare una sorta di buona distanza tra i due nella relazione così da preservare  la relazione stessa.

In conclusione potremmo quindi dire che mentre il conflitto rappresenta una necessaria competenza relazionale, la violenza si colloca nell’area della distruzione e della eliminazione relazionale.